5 settembre 2022
Venice by Venezia ha incontrato l’artista Emilio Isgrò in occasione della presentazione alla stampa del suo ultimo lavoro, una vela per l’Edipo Re, la barca che fu di Pier Paolo Pasolini, un’opera realizzata grazie al contributo di The Venice Venice Hotel, mecenate del progetto.
Questa imbarcazione di diciassette metri prende il nome dal film del 1967 scritto e diretto dal poeta bolognese, una pellicola ispirata ad un altro Edipo Re, quello di Sofocle, uno dei paradigmi indiscussi della tragedia greca. La barca, costruita in quel di Pola nel 1943, e che per tutta la guerra sfidò le pallottole per mettere in salvo i profughi, fu ribattezzata così quando venne acquistata dal pittore Giuseppe Zigaina, amico, e c’è chi dice amante, di Pier Paolo Pasolini. A bordo dell’Edipo lo scrittore veleggerà anche con Maria Callas, che sarà poi la Medea dell’omonimo capolavoro pasoliniano, anch’esso ispirato ad un’altra tragedia greca, questa volta firmata da Euripide.
Negli anni a venire poi dell’imbarcazione si persero le tracce, questo fino a quando la famiglia Righetti la ritrovò in Croazia, la restaurò e la riportò a Venezia, dando ad essa nuova vita e rendendola il simbolo di Edipo Re Impresa Sociale.
Com’era la Venezia dei suoi tempi?
Credo sia stato l’ultimo periodo di splendore culturale di Venezia, all’epoca era ancora infatti una capitale d’Europa in questo senso. Con l’arrivo in città degli Agnelli, e così poi con quello degli americani, la vecchia aristocrazia veneziana che era quella dei Foscari, dei Loredan, quell’élite che era forse quella più innamorata della propria città, si è un po’ ritratta, in un certo senso messa da parte, e la città è conseguentemente piombata nelle dinamiche speculative del turismo.
Chi frequentava fra le persone in vista di quella Venezia?
Gli americani importanti, per così dire, che ho frequentato in quel periodo erano lei ed Ezra Pound, che forse di Peggy Guggenheim era l’esatto contrario. Il giornale (Il Gazzettino ndr) voleva che intervistassi Pound ma non rispondeva mai alle richieste di intervista della redazione, questo perché era molto in imbarazzo in quanto si ritrova, da fascista quale era stato, all’interno del contesto di un’Italia democratica. Lui soffriva questa sua condizione, si sentiva a disagio, e forse per questo perpetrava questo silenzio che inquietava peraltro molto Pasolini. Io insistetti parecchio per riuscire ad intervistarlo, ed infine mi disse una sola singola frase che però mi bastò per costruirci sopra un intero articolo, mi disse: “io ho sbagliato tutto”. Io e Pound avevamo un amica in comune, Joan Fitzgerald, una scultrice americana di origine irlandese cattolica. Lei era molto amica di Pound, ed è stato così che io conobbi Ezra, nella casa di campo San Maurizio della Fitzgerald.
Cosa ricorda di Peggy Guggenheim?
Era molto legata all’Europa, magari non lo diceva apertamente ma lo faceva capire. Era molto legata a Max Ernst, del quale era stata moglie, così come a Samuel Beckett.
Chi erano gli artisti più in vista ai suoi tempi a Venezia?
I pittori famosi non erano gli americani arrivati nel ’64, ma erano i viennesi, i francesi, era questa Venezia. Gli americani, gli artisti così come i ricchi come la Guggenheim, iniziavano ad arrivare ma non davano un tono alla città. Adesso mi pare che sia diverso da ciò che sento.
Quali erano i maggiori centri culturali italiani di quelli anni?
Per l’arte, ma non solo, sono sempre stati Milano Roma e Venezia. Poi si aggiunse Torino. Di fatto Milano mantenne il primato mercantile, ma i milanesi non erano bravi come a Torino, dove si portava avanti l’arte povera e dove c’era all’epoca una borghesia più avvertita. A Milano però c’erano molti più collezionisti. Qui a Venezia ce n’erano due di molto grandi: Camuffo e Codognato, che divenne poi peraltro un mio grande amico. Lui quando vide le mie prime opere me le voleva comprare. Io allora avevo una forma mentis più da letterato che da artista, e conseguentemente mi sono detto “se le vendo a te, non mi resta niente”, non pensando che il pittore le può rifare un minuto dopo. Sta di fatto che non gliele diedi. Di questo mi sono pentito perché lui è stata una figura che ha rappresentato molto. Peraltro sono stato molto contento, quando ho fatto la mostra alla Fondazione Cini, che suo figlio mi abbia mandato un bellissimo messaggio da parte del padre.
Quando è stata la prima volta che ha cancellato qualcosa?
Nel ’64, erano libri e pezzi di giornale, credo dello stesso Gazzettino.
Quindi che valore aveva cancellare?
Cancellare non significava distruggere, cancellare era una visione del superfluo in comparazione con una visione più ampia della realtà e del ragionamento: se tu cancelli ciò che è superfluo dimostri che qualche cosa è necessario, e allora attivi il pensiero. Quando io ho cominciato a fare le cancellature avevo capito che la civiltà verbale era in pericolo, i giornali erano in pericolo, e questo lo si vedeva bene dal fatto che si andavano affermando in tutto il mondo un tipo di spettacoli come quelli di Bob Wilson, perché evidentemente non tutti sapevano ancora l’inglese come ai giorni nostri che lo conoscono un po’ tutti, o che perlomeno lo parlicchiano. La nostra dialettica è quella hegeliana rivista da Marx, allora quando io cancello le parole applico la dialettica tra essere e non essere delle cose, delle parole, e quindi del mondo che sta dietro le parole stesse. Quindi non è un problema molto semplice anche se noi dobbiamo renderlo comprensibile.
E questo vale anche per performance?
Certo, basta che pensi all’aumento di una declinazione visiva del teatro nei confronti del teatro verbale, questo quando lo stesso teatro rappresentava una difesa estrema della parola umana e delle culture. È stato propio un americano a profetizzare “non ci saranno più guerre tra nazioni ma tra culture”, però se ci devono essere guerre tra culture vuol dire che dette culture devono essere diverse, se si va ad uniformarle non ci sono più guerre, e si andrà così incontro alla “pace dei cimiteri”, uno status dove la creatività verrà meno. A tal proposito c’è una voce del Talmud che dice “laddove dove c’è conflitto, lì c’è Dio”, quel Dio che è l’emblema della stessa creatività umana, perché non si sa dove finisca l’uomo e dove cominci Dio e viceversa.
Qual è la sua visione dell’arte?
Io mi rifiuto di vedere l’arte come qualcosa di ineffabile, l’arte è una cosa umana che si può affrontare normalmente, non ti mangia, non ti salva, e non ti uccide, però ti dice molte cose. A me molte cose sono concesse perché me le danno gli altri, sono fortunato perché molti artisti non hanno questa fortuna, vivono duramente la loro condizione di artisti, e sono bravissimi, più bravi di me, di Kapoor, e di Michelangelo. C’è sempre da imparare dagli altri, io per esempio le cose più importanti non le imparo dai grandi artisti ma da quelli minori. L’artista minore si deve inventare il mestiere, la tecnica, magari per nascondere la propria inadeguatezza. Tanto è vero che nelle accademie non insegnano solo i grandi artisti, ma anche gli artisti minori che spesso sono gli insegnanti più bravi. Con questo non voglio dire che l’arte non valga niente, sarebbe una forma di snobismo da parte mia, sono certo l’arte abbia un valore, come sono conscio però vi sia un problema sociale: bisogna che l’artista faccia capire la propria utilità sociale, e questo non solo alla tipologia di persona che si può permettere l’arte e che ha soldi per comprarla. L’arte comunque non è per tutti, come per assurdo non lo è neppure il calcio pur essendo uno sport nazionalpopolare per definizione. L’arte deve essere anche esclusiva, ma non escludente, questo lo dico senza voler fare il super democratico che non sono: io sono democratico ma la folla non mi piace, mi piace stare in pochi (ride ndr).
Pasolini ha dichiarato che ogni suo film, quantomeno fino al 1970, quindi Edipo Re compreso, riguarda il rapporto fra mondo plebeo povero, e mondo borghese ricco e colto, lei pensa che l’arte possa rappresentare un collegamento fra questi due mondi? Una sorta di mezzo che rende più ricchi i poveri e più poveri i ricchi? O di porta da dove le classi sociali meno agiate possono accedere all’establishment?
Penso che di Pasolini vada rispettata ed onorata la sua memoria, ma il suo tipo di impegno non è più praticabile al giorno d’oggi, questo perché lui nasce tra due mondi dove doveva scegliere una cosa o l’altra, e anche se infrangevi la norma, questa era ben visibile. Lui rivendicava la sua omosessualità in nome della differenza, la differenza come valore. Lo stesso D’annunzio, che è un grande poeta nonostante a volte sia insopportabile, in uno dei suoi capolavori, Alcyone, c’è un verso che recita “diversità delle creature, sirena del mondo”. L’arte è sempre autoritaria, ed ha un carisma, ma bisogna vedere se questo carisma è legittimato da una società che ne ha realmente bisogno, o è legittimato soltanto dai mercanti che la impongono.
Qual era il suo rapporto con Eugenio Montale?
Montale era un estimatore della mia poesia, e quando veniva alla Fondazione Cini, ospite del vecchio conte Cini, mi telefonava al giornale e mi chiedeva di fare qualche passeggiata. Così io Io accompagnavo in giro per la città, per me era un grande onore. Con me parlava male di Ungaretti e di Quasimodo: la più classica delle rivalità poetiche. Io nella mia giovinezza di allora, desideroso di gloria com’ero, gli dissi una volta che la parola era morta, e lui si arrabbiò al punto da non parlarmi più, persi un amico. Erano parole forti certo, ma era un modo per farsi sentire a vent’anni. Per quell’episodio si seccò anche il direttore del Gazzettino, Giuseppe Longo, che era un vecchio liberale, era a disagio perché il capo della sezione culturale, che ero io, cancellava. Tu immagina lo scandalo ideologico. Ma a vedere il mondo attuale, in cui la parola e la sua libertà sono davvero morte, forse avevo detto bene. Ad esempio la Milano di una volta era piena di fascisti, oltre che di comunisti, ma a vedere i fascisti che sono venuti dopo, quelli sembravano dei perfetti democratici, perché quantomeno amavano discutere.
Nell’Edipo Re di Sofocle troviamo un'etica che si fonda non sull'intenzionalità, ma su di un destino che colpisce Edipo a prescindere dal fatto che questi abbia una qualche responsabilità o cognizione nel commettere l’incesto o il patricidio. Ritroviamo al suo interno quindi una dualità fra predestinazione e libertà. Proprio a tal riguardo cosa pensa del fatto che l’uomo non sia in grado di dare una spiegazione esclusivamente a ciò che non conosce e non comprende, mentre viceversa è (ipoteticamente e relativamente) in grado di comprendere tutto ciò su cui risulta edotto e che riesce a capire? Pensa questo possa aprire le porte al fatto che per tutto ci possa essere una spiegazione ed una logica determinata, e che quello che l’uomo chiama caso, o fato, o in qualsivoglia altra maniera che rimandi ad un concetto simile, possa essere solo la conseguenza della sua ignoranza?
Infatti tu lo sai dove comincia Dio e dove finisce? Non sai nemmeno dove comincia e dove finisce il mondo, l’universo, sono interrogativi. Detto ciò non faccio il credente di professione. Comunque guarda se uno si pone troppo queste domande va a finire che impazzisce. Prendiamo esempio della resurrezione di Cristo: si tratta della la trasformazione della materia, e questo ha a che fare se ci pensi con altre religioni, quali l’Induismo ad esempio. Forse le chiese dovrebbero semplicemente aggiornarsi. La verità è forse che nella fede in Dio c’è anche posto per il materialismo.
Quale è stata la sua prima reazione quando le hanno chiesto di creare un’opera su Edipo Re?
La mia prima reazione è stata forse un po' di paura, una sorta di timore che però passa immediatamente quando capisco di essere in grado di rispondere alla richiesta del committente. Ci ho pensato, ed ho fatto il mio lavoro cercando di usare le mie capacità migliori, non tocca però a me dire se ci sia riuscito o meno.
Qual è la sua memoria più bella riguardo l’Edipo Re?
Probabilmente la mia memoria più bella di Edipo Re non si riferisce alla barca di Pasolini, ma all’opera di Sofocle alla quale alla quale lo stesso lo stesso Pasolini si è ispirato. Ricordo un verso di Tiresia sopratutto: “io questo lo sapevo, ma l’ho dimenticato. A volte dimenticare è il rovescio del ricordo: non si può ricordare se non si sa dimenticare”. Considero un onore essere chiamato a issare una vela sulla barca di un grande poeta quale e stato indubbiamente Pasolini. D’altra parte su questa stessa barca qualche anno fa mi hanno dato il premio per l’inclusione, e sono felice che l’affetto che mi lega a Sibylle Righetti ed i suoi amici continui su questo mare e su questa barca.
Come ha scelto il nome dell’opera?
In effetti quando io ho pensato di intitolare l’opera “La vela di Pasolini” per rispetto del poeta, è stata la stessa Sibylle a pregarmi di chiamarla “La vela di Isgrò”. Lei sapeva, in quanto glielo avevo detto più volte, che, con tutto il rispetto del mondo per Pier Paolo Pasolini, non si può trasformare questo poeta in un santino buon per tutti gli ultimi, una sorta di Antonio da Padova che fa i miracoli. Bisogna citarlo meno e capire che il suo senso dell’impegno utile alla sua epoca oggi non è più funzionale, questo perché i tempi sono cambiati. Non ci troviamo più come all’epoca di Pasolini in cui il mondo era diviso in due blocchi, e dove prendere posizione, per un intellettuale quale era lui, significava incidere sul sociale. Oggi l’artista purtroppo incide sempre meno sul sociale che è dominato da forze che con l’arte e la cultura non sempre hanno a che fare. Tutto ciò premesso ho gradito essere chiamato direttamente in causa io, non solo perché è stato un onore il fatto Sibylle me lo chiedesse, ma anche perché considero anche un onere cominciare a definire con persone che pensano allo stesso modo una nuova idea non tanto di impegno politico partitico, quello un artista ce l’ha anche quando parla di fiori, ma una sorta di corpo a corpo con la vita che consenta agli artisti di parlare agli uomini e non soltanto ad una particolare categoria di persone che considerano l’arte come una merce uguale a tante altre.
Cosa si augura?
Mi auguro che sia un buon segnale soprattutto per il pubblico giovane che ha bisogno di idee nuove per muoversi nella vita.
Dopo aver realizzato quest’opera per l’Edipo Re su cosa si concentrerà? Sappiamo che ha un libro di poesie in uscita, e poi cos’altro?
Sto preparando una cosa su Galileo per gli 800 anni dell’Università di Padova, dove leggerò Galileo alla mia maniera, ma non voglio spingermi oltre altrimenti rovino la sorpresa.
Che consiglio darebbe ad un poeta?
Che deve scrivere con le orecchie, sentendo la musicalità di ciò che mette su carta.
Adesso chi sono gli artisti che preferisce?
A me piacciono molti artisti. Anish Kapoor è sicuramente un ottimo artista, venne anche ad una mia mostra, ed io vorrei molto andare a vedere la sua che in questi giorni è a Venezia.
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Foto su gentile concessione di The Venice Venice Hotel