Uno spazio per ripensare la convivialità, il Padiglione Olandese alla Biennale Architettura 2025.

16 maggio 2025

16 Maggio 2025 | Venice by Venezia

In occasione del Padiglione Olandese alla Biennale Architettura di Venezia 2025, SIDELINED: A Space to Rethink Togetherness esplora lo sport come sistema architettonico e sociale che regola spazi, corpi e comportamenti. Attraverso una prospettiva queer, il progetto sfida le norme convenzionali legate al genere, all’identità e alle dinamiche collettive, rielaborando i modi in cui ci riuniamo negli spazi pubblici.

Abbiamo parlato con il social designer Gabriel Fontana e la curatrice Amanda Pinatih (Curatrice di Design & Arte Contemporanea allo Stedelijk Museum di Amsterdam) della loro ricerca condivisa sullo sport come strumento di inclusione e del processo che ha portato alla performance partecipativa allo Stadio Pier Luigi Penzo di Venezia.

Venice by Venezia: Com'è iniziata la vostra collaborazione e come si è sviluppata fino a diventare il progetto SIDELINED?

Gabriel Fontana e Amanda Pinatih: La nostra collaborazione è nata da un interesse comune per l'esplorazione del design come strumento capace di generare riflessione critica e trasformazione sociale. Amanda, in qualità di curatrice, è sempre alla ricerca di nuovi modi per condividere conoscenza – approcci che vadano oltre i formati espositivi tradizionali. Ciò che ha subito colpito del lavoro di Gabriel è stato il modo in cui utilizza lo sport e il gioco come strumenti di apprendimento. Il suo approccio non si limita a proporre una nuova visione del mondo, ma invita anche a viverla in modo diverso.

Da lì, il dialogo tra noi è cresciuto in modo organico. Abbiamo riconosciuto il potenziale di unire la sperimentazione di Gabriel sul gioco e sullo sport – pensati per mettere in discussione le nozioni di identità, comunità e appartenenza – a una cornice curatoriale capace di amplificarne la portata. Così è nato SIDELINED come una mostra basata sull’esperienza: uno spazio immersivo in cui lo sport diventa metafora del campo sociale, e in cui i visitatori non sono solo spettatori, ma partecipanti attivi nel ripensare la convivenza. Il progetto si è sviluppato attraverso un confronto continuo – tra teoria e pratica, corpo e spazio, gioco e politica – trasformando infine il Padiglione Olandese in un laboratorio vivo per nuovi modi di stare insieme.

Gabriel, come è diventato lo sport centrale nella tua ricerca su inclusività e coesione sociale? C'è stato un momento o un'esperienza particolare che ti ha portato a vederlo come strumento efficace per esplorare questi temi

Gabriel Fontana:
Da ragazzino queer, mi sono spesso sentito fuori posto negli spazi sportivi. Ero bravo, ma quegli ambienti – spesso carichi di ipermascolinità – non mi sembravano mai luoghi in cui potessi sentirmi davvero accolto. Le ore di educazione fisica sono state il mio primo vero incontro con uno spazio che, in base al mio genere, dettava esattamente come comportarmi: come muovermi, come relazionarmi, come interagire. Mi ha introdotto a un sistema rigido e normativo, con poco spazio per la differenza.

A casa, invece, il mio rapporto con lo sport era molto diverso. Mio padre era insegnante di educazione fisica, ma anche docente di storia del cinema – una combinazione inusuale e rivelatrice. Non era il classico "tipo da sport": non guardava le partite, non ne parlava molto. Il suo modo di essere sfuggiva alle categorie, e questo ha silenziosamente influenzato la mia attitudine a mettere in discussione le aspettative.

Queste esperienze precoci mi hanno sensibilizzato su come lo sport funzioni come microcosmo della società. Ho iniziato a vederlo come un sistema di riproduzione sociale – uno spazio che trasmette e rafforza norme, valori e gerarchie. Lo sport non è mai solo attività fisica: è profondamente culturale e politico. Ciò che muove il mio lavoro è l'esplorazione di come questi sistemi possano essere sovvertiti. Come può lo sport essere ripensato come spazio per forme alternative di essere, muoversi e relazionarsi? Per me, si tratta di usare il gioco per immaginare nuove possibilità sociali.

Per la performance avete scelto lo Stadio Pier Luigi Penzo e coinvolto la squadra femminile del Venezia FC. Amanda, dal punto di vista curatoriale, in una città come Venezia – caratterizzata dai campi, piazze pubbliche tradizionalmente usate anche per il gioco – cosa vi ha portato a scegliere uno stadio come sede della performance?

Amanda Pinatih: I campi veneziani sono luoghi bellissimi, ricchi di storia e significato, ma siamo stati attratti dallo stadio per la sua intensità simbolica e spaziale. Lo Stadio Pier Luigi Penzo ci ha permesso di confrontarci direttamente con la tipologia architettonica che più incarna il potere regolatore dello sport. È uno spazio in cui corpi, emozioni e comportamenti vengono coreografati collettivamente – e, a volte, polarizzati.

Era anche importante radicare il progetto nel contesto specifico di Venezia. Per l’evento allo stadio, volevamo coinvolgere una comunità eterogenea della città, offrendo a persone diverse la possibilità di partecipare a questa forma alternativa di sport di squadra. La risposta alla nostra open call è stata entusiasta: hanno partecipato donne del collettivo di sartoria Agris Arte, sportivi della comunità LGBTQ+, giocatrici della squadra femminile del Venezia FC, studenti dello IUAV e membri dell’Associazione Sportiva Sant’Elena.

La presenza della squadra femminile del Venezia FC ha avuto per noi un valore speciale. Rappresentano una narrazione in evoluzione sul genere e la rappresentazione nello sport. Ospitarle allo stadio ci ha permesso di creare un punto d'incontro tra il contesto locale veneziano e i discorsi globali sull'inclusione, la visibilità e la trasformazione nella cultura sportiva. Non si trattava di cancellare la storia dello stadio, ma di aprirlo a nuove possibilità, riappropriandosi di esso come luogo di inclusione e appartenenza.

Quali dinamiche emergono da queste performance? Avete notato schemi ricorrenti o fenomeni particolari nel modo in cui i partecipanti interagiscono e occupano lo spazio?

Gabriel Fontana e Amanda Pinatih: Assolutamente. Quando eliminiamo i codici familiari – come i colori delle squadre avversarie o i ruoli fissi – inizialmente i partecipanti entrano in uno stato di disorientamento. Ma questo si trasforma rapidamente in curiosità, apertura, vulnerabilità. Le persone iniziano a muoversi in modo diverso, a relazionarsi in modo diverso. Cercano nuove forme di allineamento, a volte attraverso l’intuito, a volte attraverso l’empatia. Un pattern ricorrente è il passaggio dalla competizione alla collaborazione – non perché sia imposto, ma perché il sistema non premia più la vittoria come unico obiettivo. Un altro aspetto è la crescente capacità di ascolto: le persone iniziano a percepire e rispondere ai segnali sottili dell’altro. Queste performance rivelano quanto profondamente siamo condizionati dai sistemi in cui viviamo – e quanto possa essere liberatorio uscirne. Ciò che emerge non è il caos, ma un altro tipo di ordine, basato sulla comprensione reciproca anziché sulla gerarchia.

Secondo la vostra ricerca, quale ruolo può avere lo sport nel promuovere inclusività e coesione sociale? E come può l'architettura facilitare o ostacolare questi processi?

Gabriel Fontana e Amanda Pinatih: Lo sport ha un potenziale straordinario per unire le persone – ma solo se mettiamo in discussione le strutture che lo definiscono. Lo sport mainstream tende spesso a rafforzare binarismi sociali: uomini contro donne, vincitori contro perdenti, noi contro loro. Ma se riprogettiamo le regole, i giochi, persino gli spazi in cui lo sport si pratica, allora possiamo sbloccare la sua capacità di generare empatia, solidarietà e riconoscimento reciproco.

L’architettura gioca un ruolo parallelo. Può promuovere connessione oppure separazione, a seconda dei valori e delle intenzioni inscritti nel progetto. In SIDELINED, il Padiglione Olandese diventa proprio questo tipo di spazio. Queerizzando lo sports bar, riformuliamo l’architettura non come semplice sfondo neutrale, ma come attore attivo nella definizione delle dinamiche sociali. Insieme, sport e architettura possono essere ripensati come strumenti condivisi di invenzione sociale – sistemi attraverso cui non solo giochiamo, ma impariamo a vivere insieme in modi diversi.

Il Padiglione Olandese è visitabile ai Giardini fino al 23 novembre 2025 – maggiori info su labiennale.org
Scopri di più sul progetto su sidelined2025.nl

Photo credit: Gabriel Fontana Anonymous Alleyship, photo by Giacomo Bianco